martedì 10 gennaio 2012

Storie vaganti.

Viaggio in bus da sempre, ed ormai i tempi di percorrenza diventano sempre più lunghi, visto quanto si sono dilatate le distanze che devo percorrere. E dato il tempo che ci passo, oltre a leggere ed ad ascoltare musica, per occupare il tempo chiaramente guardo anche gli altri passeggeri. Ripiombando così nel classico giochino malato di inventarmi storie sulle facce che vedo, ed ogni tanto ci sono facce che hanno ben più di una storia da raccontare. 
Elvis, per esempio. Avrà sessantanni, ad esser generosi. Alto come me, per cui sinceramente bassino, viste le mie dimensioni da hobbit. Largo almeno il doppio, e anche qua siamo su una robusta stazza. Veste sempre di pelle, nera e rossa. Ma non è per quello che gli ho dato quel soprannome, bensì per la bellissima parrucca che si porta inchiodata al cranio. No, non sono i suoi capelli a fare quella banana perfetta, ne sono certa. Oltre ad esser troppo nera e troppo immobile, sulla nuca, la prima cosa che ho visto di Elvis, c'è una vistosa cucitura, si vede che sono troppi anni che la porta. E sono proprio i capelli ad avergli guadagnato quel soprannome, nella mia testa: il Re ne sarebbe stato orgoglioso, salvo che la sua di banana era vera. La prima volta che l'ho visto sul sessantadue stava solo guardando fuori, in attesa della sua fermata. La seconda, era seduto ed ascoltava musica, in cuffia. E l'ho beccato: suonava air guitar e scommetterei il pranzo su quello che stava ascoltando. Se non era il re, era Bobby Solo. Che altro? La terza era in piedi, e mi sono potuta godere la vista dei suoi stivaletti. Giuro che non ho mai visto un pitone rosa fucsia, ma per quegli stivaletti doveva aver trovato l'unico al mondo. Da allora non l'ho più rivisto, ma non vedo l'ora. Se lo vedete in giro per Torino, fateci caso, quando cammina molleggia. 
Un mito.